giovedì 16 novembre 2017

The Place - la recensione

Un uomo (Valerio Mastandea) si siede ogni giorno allo stesso tavolino in un bar, il The Place, dove si incontra con persone che vogliono qualcosa. In cambio dell'esaudimento dei loro desideri, l'uomo gli chiede di fare una scelta.


Dopo lo straordinario Perfetti Sconosciuti, Paolo Genovese torna a mettere insieme un film corale, con moltissimi personaggi e con un unico setting in cui si svolge l'intera vicenda.
Il plot del suo nuovo film è davvero originale e interessante: si parla di libero arbitrio, di scelte, di bene e male, il tutto con un alone di mistero che non viene mai davvero spiegato, lasciando alla sensibilità dello spettatore di trarre le proprie conclusioni, immaginando se l'uomo misterioso sia solo un uomo, o il diavolo, o qualcos'altro. Da questo punto di vista The Place è un film estremamente affascinante, probabilmente il film italiano più intrigante degli ultimi anni, sicuramente qualcosa che assai raramente si vede sui nostri lidi dove quasi nessuno ha il coraggio di osare e uscire dagli schemi dei soliti drammi o commedie generazionali italiane. Genovese invece osa, ambienta l'intera pellicola in un unico luogo, non allontanandosi mai da quel tavolino in quel bar, lo spettatore non vede mai gli eventi, ma ne ascolta i racconti dettagliati, le sensazioni a posteriori, seguendo invece la giornata ripetitiva e forse noiosa dell'uomo misterioso, la cui unica distrazione sono i piccoli momenti di confidenza con la cameriera interpretata da Sabrina Ferilli.

La regia è molto statica e pecca eccessivamente in dissolvenze troppo nette, avrebbe sicuramente giovato un maggior dinamismo nella ripresa proprio per dare movimento a un'ambientazione così claustrofobica. 
Il cast è stellare e quasi sempre all'altezza, ma dove il film si affossa è proprio, paradossalmente, dove avrebbe dovuto brillare di più, ovvero nella sceneggiatura. In un film come questo, così tanto parlato, basato proprio sullo scambio fra due personaggi e sul botta e risposta, è davvero imperdonabile una sciatteria simile nei dialoghi, che sono banali, piatti, spesso oltre il limite della frase fatta da cioccolatino. L'intera pellicola risulta quindi noiosa e spesso fastidiosa, man mano che si va avanti, quando si dovrebbe tirare i fili delle coincidenze e dell'intreccio, ecco che la sceneggiatura diventa didascalica, proclamando più e più volte i concetti chiave del libero arbitrio e dell'anima umana, lì dove invece il principio dello show, don't tell sarebbe stato invece fondamentale. 
Si ha la sensazione orribile dell'occasione mancata, del potenziale capolavoro sprecato per mancanza di impegno, perché di film interamente basati sulla sceneggiatura e sui dialoghi ce ne sono molti e spesso sono splendidi, ma non si possono scrivere così, con questi dialoghi, e dispiace perché dalla penna di Perfetti Sconosciuti, uno dei migliori film italiani degli ultimi anni, era lecito aspettarsi molto di più. 

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